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Olofrasi

L'olofrase è un figura retorica attraverso la quale si vuole rappresentare con una sola parola e in modo univoco il significato di una intera frase - le parole "si" e "no" sono olofrasi - per questa caratteristica di inflessibilità l'olofrase è stata presa come figura retorica rappresentativa dell'intera concezione del linguaggio presentata dai personaggi degli studiosi e da Ellen Ash. Per questi personaggi, infatti, il linguaggio è uno strumento attraverso il quale controllare e possedere, rappresentandola in modo inequivocabile ed assoluto, la realtà.

Confusione e coincidenza

     Nelle parole di Ellen o Leonora i confini, tra realtà e linguaggio, tra interno ed esterno, tra contenenti e contenuti sono costantemente offuscati, così come vengono fatti coincidere nella mente di Beatrice il corpo e la casa, la pelle corazzata e le mura protettive. L'avvicinamento fino alla sovrapposizione tra esteriorità e intimità, tra abitazioni e loro abitanti, si ripropone in termini più strettamente linguistici nella coincidenza che questi personaggi ritrovano tra significante e significato.

Ellen e Leonora: il rifiuto del valore del significante

       Ellen e Leonora rifiutano di compromettersi con una realtà che si differenzi dalla rappresentazione che ne danno tramite il linguaggio: l'una, separa inesorabilmente la verità dalle parole, l'altra, sovrappone e cancella con le parole la realtà; l'una esclude ogni rapporto  tra linguaggio e realtà, l'altra li fa coincidere. In entrambi i casi non viene quindi ammesso che vi sia un linguaggio - il significante - che si differenzi e interagisca con la realtà - il significato-; al significante, cioè, non viene concesso di assumere un valore simbolico e di approssimativa rappresentazione del significato. Il significante si identifica quindi con il significato a creare un rappresentazione definitiva e ineccepibile: questa è infatti l'impressione che danno le valutazioni di Leonora sui paesaggi nella letteratura femminile o la verità domestica del Diario di Ellen.

Azione vs simbolizzazione 

      Ellen relega la dolorosa realtà della sua vita al non detto, alla "verità non detta delle cose". Ogni volta che si ritrova di fronte ad un argomento penoso, anziché rappresentarlo simbolicamente con le parole, si rifugia nel silenzio e nelle "cose": alla simbolizzazione del linguaggio Ellen oppone quindi l'azione della fuga, alle parole oppone gli atti. Massimo Recalcati, nel suo libro dedicato all'anoressia e bulimia, a proposito della debolezza della metafora nei soggetti bulimici, sottolinea infatti il prevalere dell'azione sulla simbolizzazione  e il carattere ripetitivo di questi atti:

"Un esempio clinico evidente di questa debolezza della metafora sintomatica è quello offerto dalla bulimia. Qui ... abbiamo ... una compulsione a ripetere che sembra volersi mantenere fuori-discorso. La simbolizzazione è... costantemente anticipata e sostituita dal passaggio all'atto." (*)

Olofrase

     L'assenza di simbolizzazione caratteristica dell'uso che del linguaggio fanno questi personaggi può essere rappresentata dalla figura retorica della olofrase. L'olofrase è un parola che da sola corrisponde ad un'intera frase, in italiano le parole "si", "no", "ecco" sono olofrasi. Se il significante è quella dimensione del segno che seppur associata ad un significato, non lo può mai rappresentare efficacemente ma solo rimandare ad un altro significante e poi ad un altro e ad un altro ancora in una catena,  allora l'olofrase nega questa concatenazione dei significanti e si pone come assoluto. L'olofrase è una parola autosufficiente che non si immette nella catena dei significanti, ma ne rimane al di fuori, per queste ragioni l'olofrase sembra rispecchiare la concezionedel linguaggio di Leonora, di Ellen o degli altri ricercatori che rappresentano una realtà sempre uguale a sè stessa, che non si sposta.

Olofrase vs metafora

     Il titolo di questa sezione dell'ipertesto -Mele d'oro e marmellata: ovvero metafore e olofrasi- affianca senza precisare due coppie di elementi - rappresentazioni metaforiche di diverse concezioni del linguaggio - sul cui rapporto si può ora essere più precisi: tra mele d'oro e marmellata, come tra metafore e olofrasi si riscontra una netta opposizione. Se infatti la metafora è l'esempio più rappresentativo dell'uso simbolico del linguaggio, l'olofrase, negando la simbolizzazione, ne rappresenta la figura opposta; questa contrapposizione viene sottolineata da  Massimo Recalcati con le seguenti parole:

" L'olofrase è ...una figura retorica che, al contrario della metafora, non rappresenta nulla in quanto segnala piuttoso il fallimento dell'azione significantizzante della metafora. Un'olofrase è una parola-frase. E' un parola-frase non scomponibile, congelata, pietrificata. Lacan la definisce come una solidificazione della catena significante che immobilizza il discorso. La scansione significante S1-S2 si rapprende e fa blocco, fa uno. Così in essa il soggetto non è rappresentato da un significante per un altro ma vi si trova incluso come un "monolito." (*)  

     In Possession si può dire che i personaggi oscillino tra queste due figure retoriche, tra queste due concezioni del linguaggio. All'inizio del loro percorso di formazione, Roland e Maud  sono imprigionati olofrasticamente nella "verità" delle loro interpretazioni della letteratura passata  e nel rimpianto nostalgico di quella creatività e libertà. Ash si presenta ai loro occhi, e a quelli dei lettori, come una figura capace di creare rappresentazioni efficaci della realtà, capace di conciliare il potere simbolico del linguaggio con il mondo che lo circonda e che vuole descrivere. Il linguaggio metaforico di Ash  rappresenta però per gli studiosi un modello lontano, a loro essenzialmente estraneo, per queste ragioni alla fine del romanzo la formazione dei due personaggi non coincide con un ritorno alla concezione ottocentesca della letteratura, ma ritrova la dimensione metaforica del linguaggio attraverso un strada nuova, loro personale e autonoma.

(Alla luce di queste considerazioni  Possession (metafora)-olofrase- metafora)

Segno e identità

    Gli studiosi di Possession si trovano all'inizio del romanzo proiettati all'indietro, dominati dalle figure degli scrittori che li hanno preceduti con i quali tentano disperatamente di identificarsi. Beatrice che dice di parlare a nome di Ellen Ash - come se questa fosse ancora viva (*)- o Maud che si veste ossessivamente nello stesso modo di Christabel sono due esempi chiari di questo tentativo di annullare le distanze con il passato e con le figure che incarnano il modello assoluto di vita. Maud e Beatrice vorrebbero cancellare il tempo, le differenze che fatalmente le separano  dagli autori loro punto di riferimento, persino il loro corpo non vorrebbero tradisse diversità ma diventasse uguale a quello della figura modello. Questo offuscamento delle differenze e delle distanze che in modo quasi macabro si presenta anche a livello di somiglianza fisica rispecchia la volontà di far coincidere olofrasticamente il linguaggio e le cose, il significante e il significato, la volontà cioè di cancellare la provvisorietà e concatenazione dei significanti. Il significante rappresenta la differenza tra le diverse rappresentazioni del significato. "Il significante è differenza, è rinvio continuo ad altro significante, è pura disidentità", scrive Recalcati che continua: "Non c'è un significante chiuso su di sè, un significante identico a sè medesimo, perché ciascun significante è incatenato ad altri significanti... Ma se il significante è differenza, è cioè legato a un altro significante, il segno, invece, è un'identità... rinvia solo a sè stesso."(*) Il tentativo di questi personaggi di cancellare le differenze rispecchia quindi la volonà di uscire dalla catena significante e identificarsi  fino all'incarnazione al significante primo ed assoluto.

      Beatrice Nest e l'insegna  (6)

     Un esempio chiaro di personaggio che fa di sè un segno, un'identità tra significante e significato, o addirittura un'insegna, una "coincidenza tra segno e immagine" (*), lo offre Beatrice Nest: Beatrice infatti fa di sè l'incarnazione del proprio nome, diventa letteralmente il "nido" protettivo indicato nel segno che la identiifica (nest).

    Identificazione e incarnazione: Maud

     Anche Maud è un personaggio che tenta, reincarnandosi fisicamente nell'immagine di Christabel, di annullare le distanze che la separano da un passato da lei percepito come ideale ed originario. Maud stessa si propone prima di tutto come assoluto, come corpo monolitico e inattaccabile. La prima cosa che colpisce di Maud è infatti la sua esasperata coerenza nel vestire: al suo incontro con Roland alla Stazione di Lincoln, viene descritta con le seguenti parole:

"She was tall, tall enough to meet Fergus Wolf's eyes on the level, much taller than Roland. She was dressed with unusual coherence for an academic, Roland thought, rejecting several other ways of describing her green and white length, a long pine-green tunic over pine-green skirt, a white silk shirt inside the tunic and long softly white stockings inside long shining green shoes. Through the stockings veiled flesh diffused a pink gold, almost. He could not see her hair which was wound tightly into a turban of peacock-feathered painted silk, low on her brow. .. She had a clan, milky skin, unpainted slips, clearcut features, largely composed. She did not smile... She drove an immaculately glossy green Beetle." (P. 38-9)

("Era alta, abbastanza alta per incontrare lo sguardo di Fergus Wolf, e molto più alta di Roland. Era vestita con coerenza insolita per un'accademica, pensò Roland, respingendo parecchi altri criteri per descriverne la tenuta bianca e verde, una lunga casacca verde pino sopra una gonna verde pino, una camicetta di seta bianca sotto la casacca e lunghe calze di un bianco tenue dentro lunghe e lucide scarpe verdi. Attraverso le calze la pelle velata diffondeva un rosa dorato, o quasi. Non poteva vederne i capelli strettamente raccolti dentro un turbante di seta stampta a piume di pavone calcato sulla fronte... Aveva una carnagione chiara, lattiginosa, labbra naturali, lineamenti marcati, molto controllati. Non sorideva. (...) guidava un Maggiolino verde impeccabilmente lucido." ) (Poss.41)

Il corpo asessuato dell'assoluto

     Questa coerenza cromatica esasperta e la fasciatura dei capelli sono gli strumenti attraverso i quali Maud cerca di identificarsi fino all'incarnazione all'immagine ideale che ha di Christabel. All'inizio del romanzo Christabel appare ai suoi occhi una donna solitaria, volonterosa, controllata, completamente dedita al suo lavoro di scrittrice e freddamente impassibile alle passioni umane, ed è appunto questa immagine di inavvicinabile freddezza e efficienza che Maud cerca di incarnare. La fasciatura dei capelli che abbandona definitivamente solo alla fine del romanzo, simboleggia  per Maud la volontà di esorcizare la propria sensualità e vulnerabilità all'amore, come se con questo artificio il volto potesse perdere il suo aspetto più distintivo, la sua connotazione femminile, per diventare un volto assoluto, asessuato, indifferenziato. A questo proposito, riferendosi al corpo asessuato anoressico-bulimico,  Recalcati scrive:

"L'anoressia-bulimia è allora una manovra di rinnegamento della castrazione come principio normativo che istituisce la differenza tra i sessi. Tale rinnegamento si palesa... nella cancellazione dei caratteri sessuali del corpo, come appiattimento, livellamento dei suoi rilievi erogeni... E' il corpo ricondotto all'essenza. Un corpo dal quale la pulsione è stata esiliata. Un corpo indifferente alla differenza dei sessi. E' il corpo dell'Uno." (*)

Come l'opulenta Beatrice diventa l'immagine informe di un corpo assoluto e senza tempo per poter affincarsi ai morti Ellen e Randolph Ash, così Maud si rende anonima per poter incarnare meglio l'immagine ideale di Christabel simboleggiata prima di tutto dal colore che la caratterizza: il verde.

Verde: il colore dell'incarnazione

     All'interno del romanzo il verde è un colore ossessivamente ricorrente nelle abitazioni, negli oggetti, negli abiti di entrambe le epoche in cui è ambientata la vicenda. In Possession il verde è il colore che avvicina anche dal punto di vista cromatico il periodo vittoriano e il nostro secolo, e stabilisce una continuità tra i personaggi Maud e Christabel. Il verde, che anche nel caso di Christabel era simbolo di coerenza estrema, costituisce per Maud il carattere distintivo dell'immagine ideale (Christabel ); è attraverso l'assunzione sistematica del verde, infatti, che viene rappresentata l'identificazione di Maud a Christabel. Per Maud non si tratta quindi di una semplice imitazione dei modi e dell'aspetto di Christabel, ma di una vera e propria identificazione. Freud, come ricorda Recalcati, distingue i concetti di imitazione e identificazione:

" La sua ( di Freud) tesi è che l'identificazione non è una forma di imitazione, non è la replica in esteriorità  di un comportamento, ma è l'assunzione inconscia dell'immagine dell'altro come trasformatrice del soggetto." (*)

Attraverso quest''identificazione all' ideale Maud come Roland o Beatrice o Cropper, cercano di sfuggire alla consapevolezza della propria impotenza e illusorietà.

Un'immagine allo specchio (*)

     Maud argina il suo senso di vulnerabilità e frammentarietà  cercando di vedere nella figura ideale di Christabel la propria immagine riflessa. In modo analogo anche Cropper cerca di offuscare la consapevolezza dell'" inconsistesnza della propria identità" (*)"rispecchiandosi" nelle parole di Ash in una lettera alla sua bisnonna:

"The transcription of this letter always marked, in Mortimer Cropper's autobiographical sketches, a high point, from which they tailed off rapidly into banal childhood memories or a mere scholarly cataloguing of his subsequent relations with Randolph Henry Ash - almost, he sometimes brushed the thought, as though he had no existence, no separate existence of his own after that first contact with the paper's electric rustle and the ink's energetic black looping. It was as though his unfinished scripts were driven by a desire to reach and include the letter, the perusal of the letter, the point of recognition, and then lost their drive and tension, shuddered to a stop." (P.105)

("La trascrizione di questa lettera segnava sempre, negli abbozzi autobiografici di Mortimer Cropper, un punto culminante, dopo il quale essi si stemperavano rapidamente in banali ricordi d'infanzia o mera catalogazione accademica dei suoi successivi rapporti con Randolph Henry Ash, quasi come se - talvolta questo pensiero lo sfiorava - lui non avesse esistenza, non avesse una sua esistenza separata dopo quel primo contatto con il fruscio elettrico della carta e le decise rotondità dell'inchiostro. Era come se i suoi manoscritti incompiuti traessero impuso dal desiderio di raggiungere e includere la lettera, la sua lettura assorta, il punto di riconoscimento, e poi perdessero impulso e tensione..." (Poss.107)

L'identificazione e il riconoscimento narcisistico in un'immagine ideale cosituiscono quindi lo strumento che questi personaggi adottano per ricucire la distanza con il passato, per sentirsi parte di un mondo assoluto e originario altrimenti definitivamente perduto. 

Immagine vs significante (*)

L'immagine, incarnazione dell'assoluto, della coincidenza olofrastica tra significante e significato, negazione delle differenze e particolarità individuali si oppone quindi al significante, alla consapevolezza cioè della dimensione singolare e provvisora dell'uomo. Questi personaggi incarnando alla lettera un assoluto adottano una forma di auto-possessione che li relega all'anonimato, alla frigidità e in definitiva alla schiavitù da un ideale dal quale non possono separarsi. L'identificazione ad un assoluto, per definizione inaccessibile e perduto,  è fatalmente una strategia fallimentare, ed è proprio di questa impossibilità ed assurdità che si renderanno conto i personggi alla conclusione della loro formazione, quando abbandoneranno l'immagine, gli abiti e le abitudini strumento di identificazione, ed accetteranno la propria particolarità e creatività.

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