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C. Atei

     Alla conclusione del romanzo, l'atteggiamento che i personaggi, ed in particolare Roland, hanno nei confronti della morte sembra essere mutato radicalmente. Se in un primo momento avevano infatti sperato di poter oltrepassare la morte, di poter unirsi misticamente ad un passato che avevano ritenuto assoluto ed originario; successivamente, grazie al ritrovamento delle lettere ed al ridimensionamento delle figure di Ash e LaMotte, riconoscono il fallimento e l'impossibilità di un tale progetto, l'impossibilità cioè di trovare ed attribuire ad una figura esterna il ruolo di guida assoluta alla propria esistenza.

Oltre il misticismo

    Paradossalmente, alla conclusione della vicenda, la figura di Ash che  i personaggi degli studiosi avevano collocato in un lontano ed irraggiungibile iperuranio, perde la sua unicità ed esemplarità: anche Ash condivide infatti un atteggiamento mistico. Come A.S.Byatt fa notare, attribuiendone l'osservazione al personaggio di Blackadder, la volontà di Ash di dar voce attraverso la sua poesia ai personaggi del passato, la sua convinzione di esser parte di un unico universale ciclo di vita e morte, lo avvicina  più che allontanarlo alle posizioni deli spiritualisti contro i quali scagliava le propie invettive, e lo affianca agli occhi dei lettori ai suoi devoti esegeti:

"R.H.Ash attended at least two seances in the house of the famous medium, Mrs Hella Lees, who was an early specialist in materialisation (...) and is still thought as a pioneer in this field by contemporary spiritualists. (...) Whilst there can be no doubt that the poet went to the seances in a spirit of rational enquiry, rather than with any predisposition to believe what he saw, he records the medium's activities  with sharp distaste and fear (...). He also implicitly compares her activities - the false or fictive bringing to like of the dead, with his own poetic activities." (P 299)

("R.H.Ash partecipò quantomeno a due sedute in casa della famosa medium, Mrs Hella Lees, che fu un'antesignana in fatto di materializzazioni (...) (ed) è tuttora considerata una pioniera dagli spiritualisti contemporanei (...). Benché non vi sia dubbio alcuno che il poeta  si sia recato alle sedute con un atteggiamento di indagine razionale, più che con qualsivoglia predisposizione a credere  a quel che vedeva, egli descrive le attività della medium con profondo disgusto e paura (...). Inoltre egli implicitamente compara le di lei attività - il falso o fittizio ritorno alla vita del defunto - alla proria attività poetica.") (Poss. 304)

     La vicinanza tra le due posizioni di Ash e degli studiosi è inoltre confermata dalla affinità che presentano le immagini  a cui l'uno e gli altri vengono accostati. Gilbert Durand pone infatti i simboli della ciclicità (Ash) accanto a quelli dell'intimità e dell'inversione  (Roland, Maud, Beatrice) e sottolinea come entrambe le classi di immagini facciano parte di un unico regime dell'immaginario e rispondano ad una comune esigenza di ricomporre un'unità originaria, confondendo opposizioni e contrasti:

"Il Regime Notturno delle immagini sarà costantemente sotto il segno della conversione e dell'eufemismo. Il primo gruppo di simboli (quelli dell'intimità) (...) è costituito da una pura e semplice inversione del valore affettivo attribuito ai volti del tempo. Il processo di eufemizzazione (...) andrà accentuandosi in una vera pratica dell'antifrasi (...). Il secondo gruppo (dei simboli della ciclicità) avrà il suo asse nella ricerca e nella scoperta di un fattore di costanza nel senso stesso della fluidità temporale (...)." (Durand 196)

     Sia Ash che gli studiosi (almeno inizialmente) hanno quindi nei confronti della morte, dell'alterità, della differenza, un atteggiamento di rifiuto che li porta a rifugiarsi l'uno in una visione sintetica e ciclica del cosmo, gli altri in un feticistico misticismo. Alla conclusione del romanzo, Roland, mostrando di aver imparato ad accettare la morte di Ash e la distanza che li separa, sembra allontanarsi definitivamente da entrambe queste posizioni, per aprirsi verso una diversa filosofia e soluzione di vita.

Senza ritorno

     La trasformazione di Roland non consiste quindi nel ritorno verso un mondo orignario, non coincide nell'involuzione verso una realtà rassicurante, ma lo rende consapevole del dovere di andare oltre, di inserirsi in un universo che gli è estraneo: alla conclusione della vicenda Roland infatti torna a casa un'ultima volta ma solo per accorgersi che non potrà più attribuire a quel luogo, nè ad alcun altro luogo, il valore dell'unicità intima e protettiva per il quale lo aveva scelto, ma deve andarsene verso realtà lontane ed ignote. Il ritorno ad Ash cui Roland aspirava lo avrebbe, al contrario,  portato a rifugiarsi in un mondo immobile dal quale sarebbe stata bandità la realtà della vita, la realtà della morte e dell'alterità. Questo processo evolutivo può forse essere illustrato dalle seguenti parole con le quali Recalcati si rifersice alla formazione psicoanalitica:

"Per la psicoanalisi il mito del ritorno, il mito dell'Odissea, è un falso mito. La fine di un'analisi non è un ritorno pacificante a Itaca ma casomai l'assunzione dell'estraneità interna che Lacan ha nominato attraverso il reale della morte. Il discorso capitalista rende invece impensabile la morte." (Recalcati, 1995: 213)

     Roland abbandona quindi una logica sostitutiva come quella illustata dal discorso del capitalista,  abbandona quella "fede" in Ash che lo aveva portato a venerarne gli oggetti e le opere, quasi potessero dargli l'illusione di avvicinarlo. La morte di cui Roland diventa consapevole, non è infatti tanto quella dell'uomo Randolph Henry Ash, quanto quella dell'assoluto che il poeta rappresentava ai suoi occhi. Grazie al ritrovamento delle lettere i personaggi hanno non solo dovuto riconoscere quanto Ash e La Motte fossero diversi da quello che avevano creduto, ma sono stati indotti a riconsiderare radicalmente l'atteggiamento che li aveva condotti verso quei grossolani fraintendimenti: il processo stesso di ricerca di un riferimento assoluto, di un idolo si è rivelato vano e infondato.

Ateismo

     La formazione dei personaggi che A.S.Byatt descrive nel suo romanzo sembra quindi coincidere con l'accettazione da parte dei protagonisti di una assenza di fondamenti assoluti, con la decostruzione di quella "fede" rassicurante che li aveva "posseduti", sembra , in altre parole, condurli verso una sorta di "ateismo". Che la formazione comporti un'introduzione ad una forma di "ateismo" è la tesi che Massimo Recalcati sostiene nell'appendice a L'universale e il singolare, intitolata appunto "L'ateismo della formazione":

"Ogni esperienza radicale di formazione mette necessariamente in gioco l'ateismo. E' una tesi. Il suo corollario è che non c'è formazione che non sia nella sua essenza atea, cioè che non produca come suo effetto decisivo un'introduzione all'ateismo.
E' evidente che non intendo qui l'ateismo come la semplice negazione in esteriorità del religioso, della dimensione della trascendenza. Lo assumo piuttosto come indice di una rottura nella credenza chel'Altro possa funzionare come garante ultimo della verità. In questo senso trovo nel detto di Lacan "non c'è Altro dell'Altro" la formula più pura di ciò che intendo per ateismo." (Recalcati, 1995: 209)

Fame

     L'accettazione dell'impossibilià di Ash, come di ogni altro uomo, di cosituire un assoluto, spossessa i personaggi delle certezze immutabili su cui avevano fondato la loro esistenza, e li induce a cercare altrove un significato alle loro vite. L'importanza e a radicalità di tale cambiamento sono sottolineate dal narratore tramite alcune brevi ed apparentemente insignificanti annotazioni riguardo l'appetito di Roland. All'inizio della vicenda, al momento del ritrovamento degli abbozzi di lettere di Ash, Roland sembra infatti perdere completamente l'appetito come se le sue nuove ricerche gli dessero tutto il sostentamento di cui ha bisogno:

(prima di trovare le lettere) "That was 11.15. The clock ticked, motes of dust danced in sunlight, Roland meditated on the tiresome and bewitching endlessness of the quest for knowledge. Here he sat, recuperating a dead's man reading, timing his exploration by the library clock and the faint constriction of his belly. (Coffee is not to be had in the London Library) (P. 4)
(dopo la scoperta, la lettura, e il furto delle lettere) He looked about him: no one as looking: he slipped the letters between the leaves of hi own copy of the Oxford Selected Ash (...) Then he returned to the Vico annotations, (...) until the clanging bell descended the stairwell, signifying the end of study. He had forgotten about his lunch.  (P. 8)

(prima di trovare le lettere) ("Erano le undici e quindici. L'orologio ticchettava, corpuscoli di polvere danzavano nella luce del sole, Roland meditava sulla faticosa e affascinante interminabilità della ricerca della conoscenza. Si vide lì seduto,impegnato a ricostruire le letture di un defunto, scndendo le proprie esplorazioni con l'orologio della biblioteca e i discreti morsi del proprio stomaco. (niente caffè alla London Library)") (Poss. 8)
(dopo la scoperta, la lettura e il furto delle lettere) ("Si guardò attorno: nessuno lo oservava. fece scivolare le lettere tra le pagine della sua copia delle opere scelte di Ash (...). Poi tornò alle annotazioni a Vico (...) finché un clangore di campanella scese per la tromba delle scalea segnalare la fine della consultazione. Si era dimenticato del pranzo.") (Poss.12)

nel corso della vicenda, però,  l'indagine di Roland  si mostra sempre più lontana fino a perdere completamente l'iniziale valore di nutrimento sublime e unico. Roland, infatti, alla conclusione del romanzo, quando torna per l'ultima volta nel monolocale di Putney, si rende conto della sua estraneità a quel luogo e si sente improvvisamente di nuovo affamato:

"He thought of the desk mask,  He could and could no say that the mask and the man were dead (...) He felt hugely hungry. " (P. 473)

("Pensò alla mascher mortuaria. Poteva e non poteva dire che la maschera  e l'uomo fossero morti. (...) Si sentì terribilmente affamato.") (Poss. 471)

Oltre l'incarnazione: la realtà della morte

     La voracità esclusivamente letteraria degli studiosi aveva quindi costituito un mezzo per cercare di possedere, di reincarnare, nutrendosene, le figure dell'assoluto rappresentate per loro da Ash e LaMotte. Ma come la recuperata naturale sensazione di fame sembra mostrare l'allontanamento da parte degli studiosi dalla "passione" che li aveva posseduti, così anche i loro tentativi di incarnare i poeti defunti, di diventarne immagini speculari, di identificarvisi vengono gradatamente abbandonati. In luogo dell'identificazione ad un'immagine assoluta che li aveva resi anonimi e schiavi di un ideale, i personaggi cercano ora di lasciare emergere la loro "voce", come dice Roland. In luogo dell'illusione di sconfiggere la morte ricongiungendosi ai predecessori defunti, i personaggi accettano ora la propria precarietà e mortalità.

     La morte, l'essenziale precarietà dell'uomo, non vengono quindi più rifuggite, ma accolte come parti essenziali dell'esistenza umana. Da questo punto di vista, la morte non rappresenta quindi più la fine biologica della vita, ma una sua componente fondamentale(*).

     A.S.Byatt  riprende esplicitamente questo concetto in un suo saggio cirtico, citando e commentando un passo tratto da Armies of the Night di Norman Mailer:

"'(...) death was disappearing, death was wasting of some incurable ill. When death disappeared there would be no life.'
Here (...) is the sense that is the reality of death, which cannot be conjured away, which provides the central meaning of our life." (Byatt, 1993: 158).

("'(...) la morte stava scomparendo, la morte stava svanendo per qualche incurabile male. Quando non ci fosse la morte, non ci sarebbe nemmeno la vita.'
Qui (...) c'è il senso della realtà della morte, che non può essere scongiurata, che offre il significato primario della nostra vita.")

Representation without a system

     Nei suoi saggi come nei romanzi, A.S.byatt sembra così porre in primo piano la realtà della morte, della propria morte, della morte dei miti, delle religioni e degli dèi. L'universo che la scrittrice dipinge in Possession è infatti continuametne affinacato da immagini della morte le cui tipologie e significati variano nel corso della vicenda. Per gran parte del romanzo la concezione eufemistica che i pesronaggi ne hanno, viene infatti resa tramite un insieme di immagini isomorfe tra loro collegate ed inestricabilmente intrecciate. Nel corso della vicenda questo compatto sistema di simboli sembra però sfaldarsi: parallelamente all'accetazione da parte dei personaggi della propia morte, della morte come aspetto essenziale e doloroso di ogni singola esistenza, le immagini sembrano mutare, non poter più essere inscritte all'interno di un sistema che le giustifichi e dia loro un significato globale. Le parole che Roland inserice nei propri elenchi  - parole singole, scollegate tra loro, individualmente metaforche - illustrano chiaramente questa necessaria e nuova asistematicità delle immagini. Alla luce di queste considerazioni l'inesistenza di simboli ricorrenti o facilmente riconoscibili,  risulta quindi particolrmente coerente ed efficace a dipingere l'atmosfera inaugurale e di liberazione che caratterizza la trasformazione di personaggi alla conclusione del romanzo.

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