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ven 19 dicembre 2008  Gatto, topo, cavallo

  • Gatto, topo, cavallo Cvallao òàè@ì
  • ...e allora?
  • Niente, sono vent'anni che uso queste stupide parole per verificare un nuovo indirizzo e-mail e il correttore ortografico
  • ...e quando ti ritorna bello integro sei soddisfatto?
  • Proprio così.
  • E cos'altro potrebbe succedere?
  • Niente. Potrebbe non tornare indietro nulla.
  • Questo è più interessante. Dove si disperdono gli e-mail perduti, secondo te?
  • Questo non la sa nessuno. Oltre al cimitero degli elefanti, ci dev'essere quello degli e-mail perduti.
  • Dove potrebbe essere?
  • Ci ho pensato molte volte. Dovrebbe essere un luogo incorporeo, ma capiente.
  • Un pozzo senza pareti e senza fondo, allora.
  • Sapresti disegnarlo?
  • Occorrerebbe una matita senza punta.
  • Non l'ho più. Spuntata, non funzionerebbe, immagino.
  • No, infatti.
  • Ho paura, allora, che resteremo senza il tuo capolavoro.
  • Non te la prendere, non potrei farlo in nessun caso: sono capace di disegnare solo dal vero.
  • In questo caso basterebbe una foto, ti pare?
  • Sarebbe sicuramente più realistica.
  • Pensi che dovremmo usare gl'infrarossi?
  • Buona idea. In questo modo potremmo distinguere la posta fresca da quella stagionata.
  • Perché gli e-mail appena arrivati sono più freschi, secondo te?
  • No, più caldi. Dovrebbero essere roventi per la caduta libera dentro al pozzo.
  • Come i meteoriti quando entrano nell'atmosfera.
  • E' inevitabile.
  • Allora, scusa sai, ma se il pozzo fosse abbastanza profondo, si disintegrerebbero.
  • Sicuramente.
  • Ma sappiamo che il pozzo è senza fondo.
  • Giusto. Allora, abbiamo risolto il mistero degli e-mail perduti.
  • Perfetto! Non ci avevo mai pensato, ma è inevitabile che sia così: si disintegrano. Quanti topi, gatti e cavalli ho disintegrato, allora, in vent'anni.
  • Sì, ma a tua insaputa, ora non insistere però.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 19 dicembre 2008   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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mer 17 dicembre 2008  Troppo tardi

Era troppo tardi per partire, ma restare sembrava ancora peggio e tertium non datur. O no?
Si trattava
di trovare il modo per salvare la pelle, con una bella pensata, all'altezza della situazione. Non è che fosse proprio certo che l'ordine di eliminarlo fosse già stato emesso, né tanto meno che fosse stato stabilito quando, come e chi dovesse eseguirlo, ma gli era bastato sapere che lo avevano inserito nella lista dei sospetti per capire che era ora di cambiare aria in fretta, o meglio ancora, subito. Dove andare, però? e soprattutto, come fare ad abbandonare la casa senza essere visti e seguiti. Senza "partire", insomma".

Come inizio di un racconto poliziesco non gli sembrò molto originale, ma. al momento, non sapeva dove andare a parere e la sua esperienza lo portava a non sopravvalutare l'importanza del PRIMO incipit. Importante era solo l'ultimo incipit, quello definitivo, da piazzare all'inizio a racconto finito, quando, finalmente avrebbe saputo come si erano svolti i fatti e, soprattutto, come era andata a finire la storia. Per il momento, era importante cominciare a scrivere, poi, con un po' di fortuna, si sarebbero fatti vivi i personaggi e anche l'ambientazione avrebbe cominciato ad apparire con un blow up progressivo, come accadeva alle veccchie stampe in bianco e nero immerse nella bacinella di sviluppo

Riguardo ai personaggi aveva una teoria ben radicata; bisognava lasciarli respirare, che si muovessero a loro piacimento, insomma, si sentissero liberi e dessero fondo alle loro risorse, se ne avevano. Solo quando rischiassero di scappare fuori dalla storia li riprendeva con una tiratina di briglie, altrimenti, trottassero pure a loro talento. Questo ragazzo (era un ragazzo?), che sembrava così mal messo, avrebbe dovuto muoversi in fretta, se era proprio vero che gli stavano con il fiato sul collo per ammazzarlo. Lui li conosceva i suoi aguzzini, o almeno credeva di sapere chi fossero, mentre lo scrittore ne era completamente all'oscuro: se la sbrigasse da solo, dunque, e se non era in grado di cavarsela neppure nelle prime righe, morisse pure, come tanti altri personaggi nati morti. Per saperlo, bastava aspettare.

Non disponendo di gallerie sotterranee, come nei vecchi castelli e neppure di una più modesta uscita posteriore, meno in vista del portone d'ingresso, illuminato platealmente, non gli restava che il travestimento, qualcosa di credibile, però, non la solita barba finta, cappello calato sul muso e occhiali scuri.
Optò per la platealità: tacchi vertiginosi, gonna lunga e stretta con spacco inguinale al centro, calze a rete, boa di struzzo viola, trucco da professionista dell'adescamento stradale, parrucca rosso fiamma e borsetta roteabile. Nell'atrio, quasi si scontrò con un cassiere di banca e prode coinquilino che non lo riconobbe affatto e lo guardò con l'aria costernata di chi vedeva la schiuma del malcostume dilagante lambire, ormai, la sua benpensante magione.
Rinfrancato da quel primo test superato a pieni voti, si buttò con baldanza esagerata sul marciapiedi, ancheggiando sui tacchi madornali fino al parcheggio semi-buio, dove lo aspettava l'utilitaria anonima con la quale buttarsi nel traffico demenziale verso una meta da definire, ma lontana di lì, quando cinque colpi ben assestati al corpo e un sesto finale alla testa, chiarirono i suoi dubbi: la sentenza definitiva era stata emessa. Quando doveva essere eseguita? ora. Dove? lì. Chi la doveva eseguire? due tangheri che sapevano sparare.

Prima di morire, raro privilegio, fece in tempo ad ascoltare la sua orazione funebre: "L'ho ammazzato volentieri 'sto pervertito. Lo sapevi tu che era anche un finocchione?"
"No; ma c'è poco da meravigliarsi: non c'è più religione al giorno d'oggi"



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 17 dicembre 2008   Invia un commento all'autore
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dom 14 dicembre 2008  Uno Stetson a tre punte

Cappelli '800

tricornotricornoUna bella mattina si svegliò sicuro che per stare proprio bene al mondo avrebbe dovuto trovare il suo cappello a tre punte: un bel cappello a tre punte. Siccome però non era una bestia selvatica, decise di parlarne prima con gli amici. Andò in piazza, prese un caffè e si guardò d'attorno: pochi cappelli in giro: qualche vecchio con un feltro unto, qualche ragazzino con il berrettino a visiera e, soprattutto, molte teste mezze pelate o normalmente capellute e spettinate. Su una bici da corsa, passò anche un ragazzo (da dietro sembrava più una ragazza) travestito da ciclista, con tanto di caschetto a striscie di cuoio imbottite, tipo coppi-bartali. Decise che non faceva per lui.

Il primo a cui parlò della sua idea, gli ricordò come non avesse mai portato un cappello in vita sua, da quando si era potuto togliere l'odioso pignattino di tela che gli avevano imposto le maestre giardiniere per andare in ispiaggia durante le vacanze al mare in "colonia". Pioggia, neve o tempesta, tutti l'avevano sempre visto a testa scoperta.
Un altro gli chiese se per caso non gli fosse rimasto a frullare in quel testone vuoto un qualche film in costume, magari con moschettieri rampanti su cavalli coraggiosi e belle dame da salvare. Il più silenzioso, si lasciò strappare di bocca: "Un tricorno? ma non fare il Pitagora fuori stagione!" che lasciò tutti di stucco.
Dopo mezz'ora di cretinate, divaganti sui sette mari e i quattro continenti (o erano solo tre anche loro?), dopo l'evocazione partecipata di negre favolose mezze nude, sterminate con i bambini in braccio da flemmatici soldati inglesi vestiti di pesante panno blu, comandati da generali in tricorno piumato e di Napoleone, che in barba alla sua mania di conquistare il mondo intero, si era accontentato di un cappello a due punte soltanto, come una gondola rovesciata, la situazione emerse in tutta la sua drammatica chiarezza: occorreva uno sforzo solidale per trovargli 'sto maledetto cappello: tutti per uno, uni per tutto, come Dartagnan.

cappellaioQui veniva il difficile, però. L'ultimo capellaio del paese aveva chiuso bottega da anni e, poveretto, anche la sua ultima saracinesca l'aveva tirata giù da un pezzo. Della vedova non c'era da fidarsi troppo, nel ramo cappelli: donna di chiesa, niente da ridire, imabittibile rimbeccatrice di santamariamaterdei al rosario, ma in bottega non valeva niente, neanche ai bei tempi e neppure in cucina o a letto, stando alla sentenza dei bene informati.
Da Pirelli-Sport, più che qualche cappello di tela mimetizzata da pescatore non si poteva pretendere e l'armaiolo teneva solo cappelli tirolesi con lo scopino infilato nel nastro: un solo modello, una sola misura, un solo cappello, prendere o lasciare. Di cercarlo da un costumista teatrale non venne in mente a nessuno, perché il teatro non aveva mai messo radici in paese e i patiti dell'opera, nelle grandi occasioni, dovevano affrontare un viaggio fino a Milano o, almeno, fino a Parma per potersi sfogare come dio comanda. Loro però, i cantanti li vedevano già incartati nei loro costumi e pronti a cantare sul palcoscenico; chi li avesse prima vestiti in parrucca e borsa era un mistero che non avevano mai sondato: a ognuno il suo mestiere.

Strologando, strologando alla fine venne fuori che c'era una sola strada maestra da seguire: bisognava lasciare a casa la macchina e prendere il treno come si faceva una volta nelle grandi occasioni, che, in altre parole, voleva dire andare a Modena con la littorina, sull'unica linea che passava per il paese, quella che nella direzione sbagliata andava anche a Mantova, da non nominare neanche.

cappelliTutti c'erano già andati molte volte, chi più chi meno e, anche se erano più pratici del foro boario che delle botteghe vicino al duomo, decisero che era venuta l'occasione per tornarci, senza aspettare la fiera del bestiame. Bisognava partire dopo mangiato: un sabato dopo pranzo si poteva tentare l'avventura; bisognava essere almeno in tre, più il muto che aveva fatto la prima commerciale e qualcosa doveva pur sapere, se solo si fosse deciso a parlare.

Le mogli non furono contente, ma chi era il padrone di casa? se avevano deciso di andare, era così e basta e il sabato successivo le avrebbero portate anche loro, ma in macchina, stavolta, e sarebbero andati anche a caffè a mangiare il gelato, seduti in piazza, e poi al cine.

Sul treno fecero il piano di battaglia: appena smontati, bisognava chiedere al capostazione, quello con la paletta, il fischietto ed il berretto rosso dove si compravano i cappelli e i berretti seri come il suo, insomma dove si trovava il cappellaio più importante, con la migliore reputazione, dal quale farsi consigliare per un acquisto, senza badare a spese.

cappelleria

Tom MixSi chiamava Barbetti, ma era più conosciuto come Borsalino, lui e la sua famiglia erano cappellai fin dai tempi del duca o anche prima. Trovarlo? Facilissimo, era dov'era sempre stato: sotto il portico del Collegio, a meno di duecento passi dal duomo: domandassero a chi volevano, lo conoscevano tutti: teneva di tutto, anche i cappelli da vescovo, con licenza parlando, per trovare di meglio bisognava andare a Roma dal cappellaio del papa in persona, e poi chissà se era meglio davvero?
Trovarlo fu facile, come aveva garantito il capostazione; dall'insegna di ferro e dalla vetrina di vecchio noce scolpito si capiva subito che tutto quello che avevano sentito era vero fino all'ultima virgola: altro che fino dai tempi del duca, quella bottega lì doveva avere almeno cent'anni.

Entrarono tutti tre come un sol uomo, lasciando il muto fuori a fumare il toscanello, tanto non gli avrebbero cavato una parola di bocca. Dentro c'erano cappelli appoggiati in fila su scaffali chiusi da vetri, come vasi di uno speziale e altri in giro di tutte le fogge, calzati su teste di manichino, come fossero parrucche. Rimasero a bocca aperta davanti a tanta grazia di dio, finché non arivvò la frase fatidica, che li commosse come se si fossero trovati protagonisti di uno sceneggiato televisivo: "In cosa posso servirli?". Valeva la pena di fare il viaggio e tutto il resto solo per quel momento.
Imbarazzati, spiegarono che erano venuti proprio per comprare un cappello, sì uno solo, ma erano venuti in tre perché si trattava di un tricorno, non il solito cappello da contadino, ma si affidavano completamente alla sua esperienza, insomma facesse lui per il meglio e cosi fu.

Quando il muto li vide finalmente uscire trionfanti, come se avessero vinto un terno al lotto, ruppe il silenzio per una delle sue frasi storiche: "Ma cosa fai, coglione, con il cappello bianco di Tom Mix in testa: sembri un fungo appena spuntato. Bravo! Per rompere un digiuno durato cinquant'anni, volevi, a tutti i costi, un tricorno da milord inglese e ti sei fatto rifilare un avanzo di magazzino da vaccaro americano. Bravo! proprio bravo e ci scommetto che l'avrai anche pagato un occhio della testa."

cappello di Tom Mix



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 14 dicembre 2008   Invia un commento all'autore
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lun 08 dicembre 2008  Non c'č pių trippa per gatti

  • Non c'è più trippa per gatti
  • Dici che anche loro non arrivino alla terza settimana?
  • Ma? Secondo gli etologi, i gatti non sanno neppure cosa sia una settimana
  • Come hanno fatto a capirlo?
  • Non gli davano da mangiare una volta alla settimana nel giorno del Signore.
  • Li facevano digiunare la domenica?
  • No, il martedì
  • Il martedì sarebbe sacro al dio dei gatti?
  • Non so. Ma credo che fosse solo per evitare diatribe religiose fra i ricercatori.
  • Ah! venerdì dei musulmani, sabato dei giudei, domenica dei cristiani, lunedì stanno tutti a casa, giovedì gnocchi ...
  • Esatto, hai centrato il problema
  • Invece i gatti non hanno capito niente?

 

gatti neri

 

  • Lo so che ti sembra incredibile, ma attraverso questa prima tappa, loro volevano arrivare a spiegare a gatti e porci i semplici meccanismi del mercato per superare la crisi...
  • ...aspetta, adesso non ti capiso neanche io. Hai detto che li facevano digiunare un giorno alla settimana per...
  • sì, per incrementare la fiducia e, indirettamente, fare aumentare i consumi, perché e proprio in questo che sta la salvezza
  • Ma non hai detto che non c'è più trippa? ad un ignorante come me sembra una presa per il naso.
  • La mancanza di trippa è proprio lo scoglio su cui si sono temporaneamente arenati, ma vedrai che, una volta capito come superare questo inconveniente marginale...
  • ..e, frattanto i gatti come se la passano?
  • Per adesso dimagriscono e miagolano come poveri disgraziati.
  • Non si può mica pretendere che abbiano il comprendonio di noialtri umani.
  • Se capissero che tenersi belli magri può salvarli. dal finire in padella come in tempo di guerra
  • E' sempre così; in definitiva, è per il loro bene, che li tengono leggeri a trippa, ma va a farglielo capire.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 08 dicembre 2008   Invia un commento all'autore
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gio 04 dicembre 2008  Una totale mancanza di bisogno

  • Se improvvisamente ti ritrovi nella più totale mancanza di bisogno, cosa fai?
  • Niente, da principio
  • ... e alla fine?
  • Niente di niente
  • .E cosa cambia?
  • Come qualità niente, ma come quantità ammetterai che c'è un salto di qualità
  • E' che io non riesco a misurare il niente
  • L'hanno inventato gli arabi, come lo zero; lo devi guardare da destra a sinistra ; è quello il trucco
  • Pensavo che lo si dovesse guardare in modo olistico come un cammello nel deserto...

Giza

  • ...cioè dall'alto o da lontano?
  • Dipende tutto dal punto di vista, l'importante è non tentare di frazionarlo
  • Come lo zero
  • Infatti , non bisogna scambiare la parte per il tutto
  • Sotto metafora?
  • Quando vuoi, anche subito
  • Preferirei anche io, ma possiamo permettercelo?
  • Se non ho bisogno di niente, bisognerà pure che cominci da qualche parte, ti sembra?
  • Non dimenticarti, però di muoverti in modo olistico da destra a sinistra come una arabo nel deserto
  • Ho bisogno di pensarci

La mia foto è stata scattata nei pressi delle piramidi di Giza al Cairo, durante un viagggio in Egitto



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 04 dicembre 2008   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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mer 03 dicembre 2008  Villa Sorra

Villa Sorra MO

Villa Sorra

Questa è la sintetica illustrazione ufficiale di Villa Sorra, nella campagna modenese, quale appare sul cartello che ne illustra le caratteristiche e la storia. Il parco, ora oggetto di cure e restauri è visitabile piacevolmente in una bella giornata, quando passeggiare sull'erba fuori città è uno spasso.Per vedere una collezione di foto scattate in un fresco pomeriggio novembrino, clicca qui.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 03 dicembre 2008   Invia un commento all'autore
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