Per fortuna era il
sinistro. Con il
destro riusciva ancora a scorgere il bordo della strada, a malapena e senza
continuità, ma aveva l'illusione di vederlo. Con il suo
ottimismo sfrenato si era quasi rallegrato, quando si era accorto che a
piantarlo in asso, oscurandosi di colpo, era stato il fanale che
illuminava il centro della strada, quasi inutile su quello stretto
serpente desolato, dove incrociare qualcuno avrebbe fatto rabbrividire
anche l'autista di una corriera postale. La nebbia,
fittissima, avrebbe imposto di procedere a passo
d'uomo anche
ad un pipistrello, ma non a lui, perseguitato dalla voglia di tornare a
casa dopo due settimane di vacanze piovose e di malacucina. Dal
finestrino abbassato, ogni tanto
sporgeva la testa, nella speranza che la bambagia dentro la quale si
ostinava a correre fosse sporcizia sul parabrezza; azionare i
tergicristalli con le spazzole smangiate dall'usura secolare non
avrebbe che aggiunto un ulteriore pigolio intermittente alla
sinfonia di rumoretti e cigolii che si sprigionavano da ogni angolo
della sua vecchia decappottabile sportiva: una vecchia gloria, un
catenaccio romantico che pochi appassionati avevano il fegato di
adoperare come se fosse una normale automobile d'uso quotidiano.
Alla fine di una curva cieca la macchina s'impennò per poi
atterrare di muso con un frastuono letale, come se ogni sua parte si
fosse schiodata dal resto, in un finale spasimo senza ritorno. Scese
per
constatare i danni e raccogliere i pezzi. Nel girare dietro il cofano
posteriore, dove il motore continuava a ronfare imperterrito e
rassicurante, vide
un'ombra confusa e biancastra in mezzo alla strada: una pecora, anzi
una capra. Si avvicinò, se ne stava immobile come un sasso.
Possibile che l'avesse centrata e fatta fuori con un sol colpo mortale,
senza neppure vederla? Si chinò sull'animale per coglierne
qualche segno di vita, ma gli sembrò fredda e rigida come se
fosse già morta da un pezzo quando le era passato sopra. La
prese per le corna e la trascinò a fatica fuori dalla
carreggiata: ma quanto pesa una capra morta? A sua insaputa gli
passarono per la testa una sfilza di scemenze: peso vivo peso morto;
quanto peserà l'anima di una capra sacra secondo
gl'indù;
una capra selvatica è res nullius?; in Patagonia sgozzavano
un
capretto per far festa a Chatwin in giro come un matto per quei deserti
ghiacciati; la
petite chèvre de M. Séguin
lottò fino
all'alba prima di lasciarsi mangiare dal lupo; sopra la panca la capra
campa...
Un brivido freddo lungo la schiena lo fece rinsavire.
Tornò indietro verso la macchina
che, stranamente,
sembrava tutta intera e perfino il fanale superstite
continuava ad
emanare il suo alone bislacco nella nebbia piovigginosa. Non una luce
dintorno, solo un rumore d'acqua scrosciante. Si affacciò
sul
ciglio ghiaioso per vedere meglio, niente di niente se non rimbombo
sinistro dei sassi travolti dalla corrente. Dal rumore si
trattava di un torrente bello gonfio e veloce. Chissà da
quanto
gli faceva compagnia, appena un passo
fuori dalla strada, senza che lui se ne fosse accorto.Una piccola frana
di ghiaia sotto i suoi piedi lo
distolse da ogni ulteriore tentativo di esplorazione, del resto
manifestamente inutile. Un brivido lungo la schiena gli
ricordò
che si trovava in alta montagna e che il passo con la frontiera era
ancora lontano, forse.
Per la prima volta in vita sua pensò con qualche simpatia al
posto di blocco ed alle
guardie che lo presidiavano, poveracci. Finché esistevano i
confini, qualcuno vivo e
sveglio doveva pur esserci a sollevare la sbarra e a fare controvoglia
le solite
domande cretine.
Per richiudere lo sportello dovette sbatterlo
più forte del solito, ma il bolide ripartì
tranquillamente, come non fosse accaduto nulla, per fortuna; non
sarebbe stato il momento migliore per cimentarsi al buio con i soliti
capricci
del motorino d'avviamento, inapace di far ripartire il vecchio glorioso
boxer a quattro cilindri. La strada riprese a salire, tornante dopo
tornante. Non guidava più tanto spavaldo e con l'orecchio
teso
cercava lo scroscio del torrente che a tratti scompariva per
farsi sentire poi, improvvisamente, più forte e vicino che
mai.
Nessuna spia rossa sul quadro, ma il livello del serbatoio calava
più in fretta del solito, salendo lentamente con le marce
basse.
Cigolando, il vetro dello sportello si portò ragionevolmente
vicino alla capote, sdrucita e slabbrata in quel punto; ora entrava
solo un vigoroso spiffero: il meglio per restare svegli dopo una
dozzina di ore di guida. Nei viaggi di ritorno a casa alla fine delle
vacanze, non riusciva a
trattenersi: voleva farcela in un sol fiato; col sedere incollato al
sedile sgranocchiava centinaia di kilometri senza fermarsi, come un
camionista di TIR in ritardo sulla tabella di marcia.
Quando ormai si era abituato all'idea di viaggiare come una talpa nella
nebbia più fitta, improvvisamente si ritrovò
sotto un
cielo stellato e con una magnifica luna che illuminava le montagne,
fino a quel momento completamente invisibili. La situazione lo
rincuorò e riprese a spingere sull'acceleratore, fino a
quando non sentì la
ruota anteriore destra slittare e provocare una sassaiola di
ghiaia verso lo strapiombo. La salita non finiva mai. Il passo che
cercava di scorgere non era ancora apparso, neppure per un momento, in
compenso la lancetta del termometro dell'olio si avvicinava al rosso; a
scanso di guai, si fermò alla prima
piazzola di sosta.
Prima di scendere, questa volta, s'infilò il
giaccone, si
accese
la pipa e, finalmente, si guardò attorno con calma. Il
panorama
sotto la luna era splendido: in alto le cime apparivano maestose
e imbiancate come nelle cartoline; in basso le nuvole nelle
quali
era stato immerso fino a poco prima riempivano la valle lasciando
spuntare solo le cime più alte di una foresta di abeti.
La stanchezza gli saltò addosso improvvisamente: fermarsi e
dormire, questo e nient'altro avrebbe voluto e l'avrebbe fatto se
soltanto il freddo non fosse stato troppo pungente per sperare di
riuscire a dormire. Prima di
risalire in macchina scattò mentalmente una foto del
panorama,
pensando che forse non gli sarebbe mai più capitata in vita
sua
una
situazione così straordinaria. Del resto una magnifica notte
di
luna piena, in alta montagna ed in totale solitudine era del tutto
inattesa. Nei suoi piani, aveva sperato di
valicare le montagne al tramonto per essere finalmente a casa nel suo
letto al più tardi nel
cuore della notte, ma un ritardo del traghetto,
dovuto al mare grosso, ed il traffico soffocante nell'imbuto
autostradale della
capitale lo avevano ritardato di molte ore e indotto a cercare un po'
di respiro su di un vecchio percorso obsoleto. Non gli
restava
che sperare in una sosta al caldo negli uffici della dogana, quattro
chiacchiere per risvegliarsi e, magari, un caffè bello
robusto.
Come passavano la notte i doganieri di un posto di frontiera ormai
abbandonato, dopo l'apertura della nuova autostrada che aveva
monopolizzato tutto il traffico? Anche in ore più civili,
dovevano essere davvero pochi quelli che continuavano ad avventurarsi
sulla vecchia statale, ormai priva di una seria
manutenzione, senza guard-rail e piena di buche, per non
parlare
delle capre stecchite, appostate a tradimento dietro le curve.
La sosta con il motore al minimo aveva prodotto il risultato voluto: la
macchina funzionava bene, ora, ma era il pilota a perdere colpi.
Riprese a guidare lentamente, cercando di combattere i colpi di sonno,
ma quanto mancava ancora al passo e alla frontiera? Finalmente, vide da
lontano prima i pennoni con le bandiere, poi la casermetta, ma nessuna
luce accesa. Si avvicinò lentamente, cercando la sbarra
abbassata e la luce del posto di guardia. Tutto spento e la sbarra
alzata. Scese per capire meglio: un piccolo cartello invitava a
proseguire fino al paese successivo dove era stata trasferita la
dogana. Perplesso e abbattuto, cominciò a scendere; il
versante sud era ancora più ripido di quello settentrionale
e precipitava a valle con una serie di tornanti stretti in un paesaggio
desolato, poi la pendenza diminuì finché non
ricominciò la vegetazione e... la nebbia. Ancora una volta
fu avvolto dalle nuvole mentre il cielo non accennava a rischiarare.
L'orologio segnava appena le tre e un quarto, c'erano da aspettare
almeno due ore prima dell'aurora. Sconfortato dalla prospettiva, fu
sopraffatto dalla stanchezza e dal sonno. Ormai guidava come un automa,
la macchina procedeva quasi da sola come un vecchio cavallo da tiro
stanco verso la stalla quando, senza quasi accorgersene,
superò una chiazza di luce e fu risvegliato da un crepitio
lacerante, mentre gli apparivano nella nebbia le prime case
addormentate di un paese, ma non fece in tempo a rallegrarsene.
Nelle pagine di cronaca dei giornali locali poche righe riferivano di
un incidente di frontiera: una veloce auto sportiva aveva tentato di
forzare la dogana; le guardie, visto vano ogni tentativo di far
rispettare l'alt, avevano aperto il fuoco per afflosciarne le gomme.
Malauguratamente, il conducente in fuga era rimasto ucciso dalla
raffica. Era stata aperta un'inchiesta che avrebbe fatto luce sui
traffici che erano stati stroncati e sulla vera identità del
trafficante, apparentemente un insospettabile professionista al ritorno
dalle vacanze.