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mar 30 gennaio 2007  STREAMING... kikazzè?

Quattro immagini ricavate dal tg3 delle 14 di ieri

tempesta di sabbia
donne piangenti
Floriana
africane

Oggi presento quattro immagini di un tg3 di ieri ricavate dalla versione fruibile per mezzo di un comune computer anzichè di un televisore. Come è noto, da qualche tempo la RAI ha organizzato un archivio dal nome azzeccato: Rai Click, che permette di rivedere alcune trasmissioni scelte, già trasmesse sui normali canali televisivi. Ci sono titoli molto popolari, come le indagini del commissario Montalbano o interviste di personaggi famosi apparsi in Che tempo che fa o... telegiornali, appunto, freschi, freschi. L'interessante è che possono essere guardate in qualunque momento del giorno e della notte e da qualunque parte del mondo.

La tecnica scelta da Rai click (e da altri come "youtube") per la diffusione su computer delle trasmissioni si chiama, in gergo, streaming ed è pensata perché uno di noi possa guardarsi in santa pace sullo schermo del suo PC, quando vuole o può, il programma telvisivo archiviato; tuttavia, se mai volesse salvarlo con semplicità sul suo disco rigido per usi futuri, come se si trattasse di un normale filmato in formato AVI o MPEG, non potrebbe farlo.

Guardare, ma non registrare, dunque.

Naturalmente, però, esiste anche la possibilità di scavalcare questo limite, seppure al prezzo di qualche complicazione. Se poi, con avidità insaziabile, si volessero anche ricavare immagini fisse dal filmato salvato sarà necessaria un poco di pazienza in più.

La strada che preferisco (ed ho usato per ricavare le quattro foto dal tg3 di ieri) si serve di un programma per il montaggio dei film, di uno per la cattura d'immagini ed in fine di uno per il fotoritocco. Niente di particolarmente esotico, in definitiva.

Sommersi dalle brutte immagini di politici e assassini, molte volte ci sfuggono le belle sequenze presenti nei servizi di bravi giornalisti e operatori che ci portano in casa con professionalità il mondo intero, talora rischiando la vita.
La definizione delle immagini, purtroppo, è quella televisiva, non certo paragonabile a quella delle fotocamere digitali, anche le più modeste, ma sono pochi quelli che posso permettersi di andare a fotografare di persona una tempesta di sabbia o una manifestazione religiosa in Irak, con i tempi che corrono.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 30 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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lun 29 gennaio 2007  Non resta altro da fare

niente da fare



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 29 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
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dom 28 gennaio 2007  Chiamami padrone!

bulimicaCiarlatani sì, ma anche sadici? Sto parlando degli psicologi che aggiungono una perla alla vasta aneddotica vera sul loro conto. Secondo una notizia riportata oggi dalla Reuters, lo psicologo australiano Bruce Beaton protestando la propria innocenza di fronte alla Corte distrettuale dell'Australia occidentale, ha sostenuto che l'aver messo un collare da cane ad una sua paziente ventiduenne, imponendole di chiamarlo "padrone" rientrava perfettamente nelle linee guida etiche della Società Psicologica Australiana.
Arrestato in flagrante dalla polizia mentre "tarattava da cane" la sua paziente si è giustificato dicendo che altri trattamenti più blandi non avevano sortito alcun effetto sulla giovane bulimica che aveva in cura, pertanto... che doveva fare? "In definitiva, non l'ho mica picchiata" ha dichiarato alla corte "in questo caso sì che avrei contravvenuto all'etica professionale".

Chissà se i giudici australiani gli hanno risposto: "... ah, be', allora vada pure. Ma stia attento in futuro perché la nostra legge è molto severa con chi maltratta gli animali domestici."

Purtroppo la notizia non riporta l'esito del processo; rimarremo con la nostra curiosità.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 28 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
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sab 27 gennaio 2007  Vita bassa

vita bassavita bassaAcchiappato un ladruncolo abituale... per le mutande. A Covington negli Stati Uniti, da tempo i poliziotti locali facevano la posta ad un sedicenne individuato come l'autore di numerosi furti nei negozi della zona, ma non riuscivano mai ad acchiapparlo, finché non è stato tradito dal suo stesso arnese del mestiere: le mutande, dentro le quali ficcava al volo la refurtiva. Il suo errore madornale è stato quello di mettersi, anche nell'esercizio delle sue funzioni, mutande e calzoni a vita bassa che nel clou della fuga gli sono scivolati in giù fino alle ginocchia, facendolo capitombolare.

Ho sempre sospettato che i bragoni a vita bassa fossero degli aggeggi scomodi e pericolosi, ma non fino a questo punto.
Sull'etichetta, insieme alle altre sciocchezze e fandonie, dovrebbero scrivere chiaramente "articolo sconsigliato ai taccheggiatori abituali"

vita bassa



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 27 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
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gio 25 gennaio 2007  Sfrega, sfrega le manine gelate

cinesini

Restiamo ancora in Cina con questa simpatica foto scatta ieri una scuola materna di Baokang e publicata oggi dalla Reuters.

Due aspetti dell'immagine colpiscono particolarmente: il bracere al centro dell'aula come unico mezzo per combattere il freddo in questo asilo della provincia di Hubei nella Cina centrale e, meno evidente al primo colpo d'occhio, ma molto più impressionante, il grande squilibrio fra bimbi e bimbe.

Dopo trent'anni di rigorosa politica di contenimento della natalità, a tutto sfavore delle neonate femmine, i cinesini d'oggi sono quasi tutti maschietti. Non voglio soffermarmi sul tragico destino delle bimbe che è un pugno nello stomaco intollerabile per il nonno di una amatissima nipotina di due anni, ma sul prossimo futuro di una popolazione prevalentemente maschile quale non si è mai verificata, neppure dopo le guerre tradizionali più sanguinarie, quelle in cui morivano in battaglia o in tricea i poveri soldati al fronte e non i civili nelle proprie case, come sta accadendo ora in queste guerre moderne, combattute con armi intelligenti.

Fra quindici o vent'anni le belle bimbette imbacuccate che vediamo scaldarsi le manine al focolare potranno scegliere fra quattro o cinque spasimanti, come minimo, se mai decideranno di accoppiarsi stabilmente con un loro coetaneo, oppure, le più coraggiose potranno scegliersi un harem a buon mercato, come i sultani d'altri tempi, ma a parti invertite.

In prospettiva, per i giovanotti cinesi, desiderosi di una compagna stabile, è aperta la caccia alla "nubile d'oro", versione cinese aggiornata degl'intrighi e delle manovre patetiche che le madri borghesi nelle commedie di Gilberto Govi facevano per accalappiare lo scapolo d'oro, a cui maritare la propria figlia e scongiurarne l'onta dello zitellaggio.

C'è solo da sperare che i ragazzi cinesi di domani vivano allegramente la condizione di single, perché sarà la sorte di molti di loro, a meno che non organizzino un ratto delle Sabine in grande stile o, più prosaicamente, se le comprino, come da tempo fanno tanti stagionati valligiani delle nostre Alpi con le morette di Santo Domingo e dintorni, molto adatte alla vita in alta montagna.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 25 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
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mer 24 gennaio 2007  Scusa tanto, non ci tolno più

BEIJING (Reuters Life!) - A Chinese thief has returned a mobile phone and thousands of yuan he stole from a woman after she sent him 21 touching text messages, Xinhua news agency said on Monday.

Leggo questa notizia sulla Reuters di oggi. Cliccando sulla sintesi in inglese qui sopra accederai all'intero articoletto: vale la pena di leggerlo. Se non ne hai voglia, si tratta di questo, in poche parole:

insegnante cineseUn'insegnate di scuola media cinese viene scippata da un ragazzo in motorino della borsetta contenente telefonino, documenti e l'equivalente di seicento euro in contanti. Invece di denunciare la rapina alla polizia, prova a chiamare il malandrino che aveva intascato il suo telefonino. Nessuna risposta. Senza scoraggiarsi comincia tempestarlo di messaggini (21!) in cui gli manifesta tutta la sua comprensione per il brutto momento in cui il ragazzo deve trovarsi per essersi lasciato andare ad una azione del genere; lo prega di tenersi i soldi se ne ha un bisogno così pressante, ma di restituirle almeno il resto. Gli dice anche che la cosa più importante è che si ravveda e non continui sulla brutta strada. Nessuna risposta, finché un bel mattino, come nelle favole, trova nel suo cortile una busta con la sua borsetta completa di tutto il contenuto, proprio tutto, accompagnato da un bigliettino di scuse, una richiesta di perdono e la promessa di ravvedersi, toccato da tanta e tale tolleranza.

Questo nella Cina orientale oggi, qui a Bologna lo scorso anno, invece, un'amica mia è stata derubata da un magrebino pie' veloce del solo telefonino sotto un portico centralissimo e affollato; fattasi prestare un cellulare, lo ha chiamato subito pregandolo di restituirle il telefonino e chiudere così la faccenda, ma non ha ottenuto nient'altro che lo spegnimento immediato dell'apparecchietto, incautamente lasciato acceso dal ladro, svelto di mano, ma non di testa. Naturalmente questa notizia non è stata ripresa da nessuna agenzia di stampa: purtroppo, è la normalità e quindi "non fa notizia", come si dice.

Cosa pensi della vicenda cinese, caro lettore?

- Le favole esistono
- La persuasione ed il buon esempio, finiscono sempre con il prevalere
- Si prendono più mosche con il miele...
- I cinesi? Valli a capire
- Altro

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Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 24 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
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ven 19 gennaio 2007  Al ritorno

Per fortuna era il sinistro. Con il destro riusciva ancora a scorgere il bordo della strada, a malapena e senza continuità, ma aveva l'illusione di vederlo. Con il suo ottimismo sfrenato si era quasi rallegrato, quando si era accorto che a piantarlo in asso, oscurandosi di colpo, era stato il fanale che illuminava il centro della strada, quasi inutile su quello stretto serpente desolato, dove incrociare qualcuno avrebbe fatto rabbrividire anche l'autista di una corriera postale. La nebbia, fittissima, avrebbe imposto di procedere a passo d'uomo anche ad un pipistrello, ma non a lui, perseguitato dalla voglia di tornare a casa dopo due settimane di vacanze piovose e di malacucina. Dal finestrino abbassato, ogni tanto sporgeva la testa, nella speranza che la bambagia dentro la quale si ostinava a correre fosse sporcizia sul parabrezza; azionare i tergicristalli con le spazzole smangiate dall'usura secolare non avrebbe che aggiunto un ulteriore pigolio intermittente  alla sinfonia di rumoretti e cigolii che si sprigionavano da ogni angolo della sua vecchia decappottabile sportiva: una vecchia gloria, un catenaccio romantico che pochi appassionati avevano il fegato di adoperare come se fosse una normale automobile d'uso quotidiano.
Alla fine di una curva cieca la macchina s'impennò per poi atterrare di muso con un frastuono letale, come se ogni sua parte si fosse schiodata dal resto, in un finale spasimo senza ritorno. Scese per constatare i danni e raccogliere i pezzi. Nel girare dietro il cofano posteriore, dove il motore continuava a ronfare imperterrito e rassicurante, vide un'ombra confusa e biancastra in mezzo alla strada: una pecora, anzi una capra. Si avvicinò, se ne stava immobile come un sasso. Possibile che l'avesse centrata e fatta fuori con un sol colpo mortale, senza neppure vederla? Si chinò sull'animale per coglierne qualche segno di vita, ma gli sembrò fredda e rigida come se fosse già morta da un pezzo quando le era passato sopra. La prese per le corna e la trascinò a fatica fuori dalla carreggiata: ma quanto pesa una capra morta? A sua insaputa gli passarono per la testa una sfilza di scemenze: peso vivo peso morto; quanto peserà l'anima di una capra sacra secondo gl'indù; una capra selvatica è res nullius?; in Patagonia sgozzavano un capretto per far festa a Chatwin in giro come un matto per quei deserti ghiacciati;  la petite chèvre de M. Séguin  lottò fino all'alba prima di lasciarsi mangiare dal lupo; sopra la panca la capra campa...

Un brivido freddo lungo la schiena lo fece rinsavire.
Tornò indietro verso la  macchina che, stranamente, sembrava  tutta intera e perfino il fanale superstite continuava ad emanare il suo alone bislacco nella nebbia piovigginosa. Non una luce dintorno, solo un rumore d'acqua scrosciante. Si affacciò sul ciglio ghiaioso per vedere meglio, niente di niente se non rimbombo sinistro dei sassi  travolti dalla corrente. Dal rumore si trattava di un torrente bello gonfio e veloce. Chissà da quanto gli faceva compagnia, appena un passo fuori dalla strada, senza che lui se ne fosse accorto.Una piccola frana di ghiaia sotto i suoi piedi lo distolse da ogni ulteriore tentativo di esplorazione, del resto manifestamente inutile. Un brivido lungo la schiena gli ricordò che si trovava in alta montagna e che il passo con la frontiera era ancora lontano, forse.
Per la prima volta in vita sua pensò con qualche simpatia al posto di blocco ed alle guardie che lo presidiavano, poveracci. Finché esistevano i confini, qualcuno vivo e sveglio doveva pur esserci a sollevare la sbarra e a fare controvoglia le solite domande cretine.
Per richiudere lo sportello dovette sbatterlo più forte del solito, ma il bolide ripartì tranquillamente, come non fosse accaduto nulla, per fortuna; non sarebbe stato il momento migliore per cimentarsi al buio con i soliti capricci del motorino d'avviamento, inapace di far ripartire il vecchio glorioso boxer a quattro cilindri. La strada riprese a salire, tornante dopo tornante. Non guidava più tanto spavaldo e con l'orecchio teso cercava  lo scroscio del torrente che a tratti scompariva per farsi sentire poi, improvvisamente, più forte e vicino che mai.
Nessuna spia rossa sul quadro, ma il livello del serbatoio calava più in fretta del solito, salendo lentamente con le marce basse. Cigolando, il vetro dello sportello si portò ragionevolmente vicino alla capote, sdrucita e slabbrata in quel punto; ora entrava solo un vigoroso spiffero: il meglio per restare svegli dopo una dozzina di ore di guida. Nei viaggi di ritorno a casa alla fine delle vacanze, non riusciva a trattenersi: voleva farcela in un sol fiato; col sedere incollato al sedile sgranocchiava centinaia di kilometri senza fermarsi, come un camionista di TIR in ritardo sulla tabella di marcia.
Quando ormai si era abituato all'idea di viaggiare come una talpa nella nebbia più fitta, improvvisamente si ritrovò sotto un cielo stellato e con una magnifica luna che illuminava le montagne, fino a quel momento completamente invisibili. La situazione lo rincuorò e riprese a spingere sull'acceleratore, fino a quando non sentì la ruota anteriore destra slittare e provocare una  sassaiola di ghiaia verso lo strapiombo. La salita non finiva mai. Il passo che cercava di scorgere non era ancora apparso, neppure per un momento, in compenso la lancetta del termometro dell'olio si avvicinava al rosso; a scanso di guai, si fermò alla prima piazzola di sosta.
 nebbia

Prima di scendere, questa volta, s'infilò il giaccone, si accese la pipa e, finalmente, si guardò attorno con calma. Il panorama sotto la luna era splendido: in alto le cime apparivano maestose  e imbiancate come nelle cartoline; in basso le nuvole nelle quali era stato immerso fino a poco prima riempivano la valle lasciando spuntare solo le cime più alte di una foresta di abeti.
La stanchezza gli saltò addosso improvvisamente: fermarsi e dormire, questo e nient'altro avrebbe voluto e l'avrebbe fatto se soltanto il freddo non fosse stato troppo pungente per sperare di riuscire a dormire. Prima di risalire in macchina scattò mentalmente una foto del panorama, pensando che forse non gli sarebbe mai più capitata in vita sua una situazione così straordinaria. Del resto una magnifica notte di luna piena, in alta montagna ed in totale solitudine era del tutto inattesa. Nei suoi piani, aveva sperato di valicare le montagne al tramonto per essere finalmente a casa nel suo letto al più tardi nel cuore della notte,  ma un ritardo del traghetto, dovuto al mare grosso, ed il traffico soffocante nell'imbuto autostradale della capitale lo avevano ritardato di molte ore e indotto a cercare un po' di respiro su di un vecchio percorso obsoleto.  Non gli restava che sperare in una sosta al caldo negli uffici della dogana, quattro chiacchiere per risvegliarsi e, magari, un caffè bello robusto. Come passavano la notte i doganieri di un posto di frontiera ormai abbandonato, dopo l'apertura della nuova autostrada che aveva monopolizzato tutto il traffico? Anche in ore più civili, dovevano essere davvero pochi quelli che continuavano ad avventurarsi  sulla vecchia statale, ormai priva di una seria  manutenzione, senza guard-rail e piena di buche, per non parlare delle capre stecchite, appostate a tradimento dietro le curve.
La sosta con il motore al minimo aveva prodotto il risultato voluto: la macchina funzionava bene, ora, ma era il pilota a perdere colpi. Riprese a guidare lentamente, cercando di combattere i colpi di sonno, ma quanto mancava ancora al passo e alla frontiera? Finalmente, vide da lontano prima i pennoni con le bandiere, poi la casermetta, ma nessuna luce accesa. Si avvicinò lentamente, cercando la sbarra abbassata e la luce del posto di guardia. Tutto spento e la sbarra alzata. Scese per capire meglio: un piccolo cartello invitava a proseguire fino al paese successivo dove era stata trasferita la dogana. Perplesso e abbattuto, cominciò a scendere; il versante sud era ancora più ripido di quello settentrionale e precipitava a valle con una serie di tornanti stretti in un paesaggio desolato, poi la pendenza diminuì finché non ricominciò la vegetazione e... la nebbia. Ancora una volta fu avvolto dalle nuvole mentre il cielo non accennava a rischiarare. L'orologio segnava appena le tre e un quarto, c'erano da aspettare almeno due ore prima dell'aurora. Sconfortato dalla prospettiva, fu sopraffatto dalla stanchezza e dal sonno. Ormai guidava come un automa, la macchina procedeva quasi da sola come un vecchio cavallo da tiro stanco verso la stalla quando, senza quasi accorgersene, superò una chiazza di luce e fu risvegliato da un crepitio lacerante, mentre gli apparivano nella nebbia le prime case addormentate di un paese, ma non fece in tempo a rallegrarsene.
Nelle pagine di cronaca dei giornali locali poche righe riferivano di un incidente di frontiera: una veloce auto sportiva aveva tentato di forzare la dogana; le guardie, visto vano ogni tentativo di far rispettare l'alt, avevano aperto il fuoco per afflosciarne le gomme. Malauguratamente, il conducente in fuga era rimasto ucciso dalla raffica. Era stata aperta un'inchiesta che avrebbe fatto luce sui traffici che erano stati stroncati e sulla vera identità del trafficante, apparentemente un insospettabile professionista al ritorno dalle vacanze.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 19 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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lun 15 gennaio 2007  Amore materno

orsa

L'amore materno esiste ancora (fra gli orsi)



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 15 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
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sab 13 gennaio 2007  Leccarsi i baffi

gattone

... per ora basta, grazie!



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 13 gennaio 2007   Invia un commento all'autore
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