I VALORI SIMBOLICI

(Liberamente tratto da Pagliaro - Giacovazzo, Il Gattopardo o la metafora decadente dell'esistenza, Lecce, Milella, 1983)

Nel Gattopardo l'incessante ricorso ad un linguaggio caratterizzato in massima parte da un insieme di imprestiti analogici, di aggettivi traslati, sostantivi e forme verbali con valore simbolico che l'atteggiamento psicologico dello scrittore sottrae alla prevedibilità di schemi scontati mette in luce un complesso intreccio di procedimenti simbolici da cui deriva una particolare tecnica narrativa che ha il suo punto di forza proprio nell'uso insistente di analogie e di metafore caricate di un particolare valore semantico.

Il valore di simbolo acquista, a mano a mano che si procede nella lettura, uno spessore sempre più consistente che avvia l'esplicazione del senso di disillusione, di apatia e di indifferenza con cui l'autore guarda il mondo, abbarbicato ad un'unica certezza: tutto e tutti, coscientemente o non, sono coinvolti in un irreversibile processo di dissolvimento e di distruzione, il cui epilogo è forse tutto nell'immagine di Bendicò rattrappito ormai e presentato come oggetto che vanamente evoca la protesta delle "cose" sofferenti nell'abbandono.

L'analisi riguarda:
L'acqua nel paesaggio
Morte come sonno
Morte come luce
Morte come liberazione
Morte e sensualità
Morte come donna

L'acqua nel paesaggio:

L'acqua, come il fuoco e il sole, è un sinonimo di distruzione, simbolo di un destino inteso come necessità ineluttabile, predestinata da una forza superiore.
"..Gli tornò in mente ad un tratto la scrivania di re Ferdinando a Caserta, anch'essa ingombra di pratiche e di decisioni da prendere, con le quali ci si potesse illudere d'influire sul torrente delle sorti che invece fluiva per conto suo, in un'altra vallata" (pag.45).
In questo brano il torrente, preso simbolicamente come termine di paragone per rappresentare il corso della vita umana, è privilegiato dall'autore rispetto ad altre figure similari, per certe sue componenti semantiche particolari: quantità d'acqua, limitato da due lati, rapido, veloce, non costante.
In effetti, più di qualsiasi altra immagine, quella del torrente specularmente riflette il corso della vita umana proprio per quelle sue precise connotazioni: l'impeto, l'irruenza, la brevità del corso, l'instabilità.
Se poi si collega il termine torrente a sorti, ancora di più la metafora diventa significativa, a causa del preciso riferimento alla forza misteriosa sottesa a questo termine. Ed è significativo che l'autore ricorra spesso all'immagine dell'acqua fragorosa, soprattutto per indicare e descrivere la propria morte:
"...sentiva che la vita usciva da lui a larghe ondate incalzanti, con un fragore spirituale paragonabile a quello della cascata del Reno" (pag. 285).
"E se in lui, vecchio, il fragore della vita in fuga era tanto potente, quale mai doveva essere stato il tumulto di quei serbatoi ancora colmi che si svuotano in un attimo da quei poveri corpi giovani? (pag. 289)"
"Sentì che la mano non stringeva più quella dei nipoti. Tancredi si alzò in fretta e uscì .... Non era più un fiume che erompeva da lui, ma un oceano, tempestoso, irto di spume e di cavalloni sfrenati..." (pag.297).
" Il fragore del mare si placò del tutto" (pag.297).
E' significativo che l'immagine dell'acqua,- sia che l'elemento venga colto nel momento in cui scorre, erompe, scroscia, cioè in movimento continuo, sia che venga fermato in momenti di staticità e di immobilità- corrisponde a un'immagine di non vita e quindi di morte. E infatti nel primo caso si ha l'impressione che nulla si può fare contro l'erompere fragoroso delle acque, e l'autore, al cospetto di tale ineluttabilità, viene a trovarsi in uno stato di passività e di inerzia che è molto simile alla morte.
E non è difficile avvicinare l'immagine di questa acqua corrente alla rappresentazione dell'acqua barocca per elezione, cioè all'immagine della materia in fuga, incostante, fluida che fa spontaneamente pensare alla meditazione barocca per eccellenza, quella sulla fuga del tempo e sull'instabilità umana.
La seconda immagine, quella relativa alla staticità e immobilità: mare immobile, mare appiattito, mare metallico, mare demente, macchia indaco del mare, sia pure per altro verso, ci riconduce all'idea della morte, per l'assenza di vita che da essa traspare, per la mancanza di movimento, per l'immutabilità. E la morte, che l'immagine dell'acqua insistentemente ripropone, è vista nella duplice veste di fato ineluttabile e di unico approdo di ciò che vive nel mondo.
D'altronde, se l'esistere, alla stessa maniera dell'acqua, è uno scorrere continuo, si arriva al paradosso barocco, ma anche lampedusiano, secondo cui nulla è costante salvo l'instabilità stessa. Per questa considerazione sottesa a tutte le immagini, il torrente perde la sua fisicità geografica e diventa flusso scomposto e non governabile delle vicende umane, che procedono e interagiscono a loro piacimento, e nel loro libero articolarsi e susseguirsi lasciano a mala pena l'illusione di un possibile controllo o intervento.
Realtà effimera e sfuggente che coinvolge e travolge l'umana esistenza con l'impeto di un torrente in piena di cui non si conosce la sorgente e di cui non si prevede il corso e che proprio per questo suo scorrere ingovernato e ingovernabile induce l'uomo alla dimensione di spettatore impotente che a malapena può illudersi di operare sul flusso degli avvenimenti.
L'impotenza dell'uomo prende corpo ancora una volta nel simbolo dell'acqua e precisamente nell'immagine del fiume che con il suo lento scorrere traduce abbastanza fedelmente la disposizione della natura siciliana, la sua indolenza, la sua impassibilità.
Quindi l'acqua è simbolo di un'esistenza votata alla distruzione e al disfacimento; questo nucleo simbolico trama la rete sottintesa del romanzo connessa ad un  visione del mondo che affonda le proprie radici nell'idea di inconsistenza, delle fluidità e della negatività del reale.

MORTE COME SONNO

E' l'idea di oblio e di annullamento dei Siciliani: ma il Principe stesso, che aspettando la morte è angosciato dall'oblio che sommergerà i suoi poveri ricordi, pure considera il sonno come un assaggio inopportuno: "Aveva sonno davvero; ma trovò che cedere adesso al sopore era altrettanto assurdo quanto mangiare una fetta di torta subito prima di un desiderato banchetto" (pag. 290).

MORTE COME LUCE

L'associazione morte-luce, costituisce un peculiare contrasto.
Neppure la "frenetica luce siciliana" è un in grado di disperdere "il senso di morte" che incombe su Palermo, ma il sole violento e sfacciato, narcotizzante, torrido, brutale, atroce, che infuria nei "luoghi apocalittici" è esso stesso strumento della morte: questa è il nero totale che la luce diventa quando è onnipresente, pervasiva e cocciuta.

MORTE COME LIBERAZIONE

"Finch'è c'è morte, c'è speranza".
L'interprete è naturalmente il principe che, consapevole della caducità del tutto e tormentato dal dubbio, aspira alla "perenne certezza" della definitiva separazione da una realtà degradata; la sua unica aspirazione ideale, quella alla immobilità delle cose, è ovviamente destinata ad andare delusa, con la fine del suo mondo e del poco che ne resta ancora dopo la sua morte.

MORTE E SENSUALITA'

L'immagine della morte è legata ad una diffusa atmosfera di sensualità e sembra che fra questa e la morte corra una morbosa solidarietà, in un rapporto concettuale di causa effetto. Nella descrizione del giardino di villa Salina si ha appunto questo binomio. In meno di una pagina c'è una concentrazione di odori da levare il fiato. Il giardino è un insieme di fiori e di piante, ma è "macerato"; i profumi, più che essere fragranti, sono "untuosi, lievemente putridi"; le rose (nel loro insieme di profumo e bellezza) sono degenerate, "arse, mutate in cavoli color carne, osceni", quindi mai intraviste nel momento della loro bellezza, della loro freschezza. Tutto, in questa descrizione, è sensualità e nello stesso tempo decomposizione, corruzione, morte.

MORTE COME DONNA

Luglio 1883. Nella stanza dell'alberguccio ove hanno sistemato il Principe, perché, di ritorno da un viaggio a Napoli, dove si era recato per un consulto medico, non ce la faceva a raggiungere casa, la Morte gli appare come una figura femminile che ha intravisto nella folla della stazione. "Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora; snella con un vestito marrone da viaggio ad ampia tournure, con un cappello di paglia ornato da un velo a pallottoline che non riusciva a nascondere una maliziosa avvenenza del volto. Insinuava una manina guantata di camoscio fra un gomito e l'altro dei piangenti, si scusava, si avvicinava. Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo: strano che così giovane com'era si fosse arresa a lui; l'orario di partenza del treno doveva essere vicino. Giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo, e così, pudica, ma pronta ad essere posseduta, gli apparve più bella di come mai l'avesse intravista negli spazi stellari" (pag. 297). La morte ha fattezze leziose e crepuscolari[footnote 9].

Footnotes

9. I crepuscolari rinnegano estetismi e virtuosismi verbali, esprimendosi in modi antiletterari, prosastici, malinconici e confidenziali.